Bellinzani Paolo Benedetto

Messe a 4 Voci con basso per l'organo

(Musica vocale sacra)
Museo internazionale e Biblioteca della musica di Bologna
Trascrizione a cura di Antonio Frigé
Introduzione di Stefano Rapetti

ISMN 979-0-705083-52-1

118 Pagine

Quando nel 1717 il ventisettenne Paolo Benedetto Bellinzani dà alle stampe presso Silvani di Bologna le quattro messe opus 1, sente l’esigenza di farle precedere, oltre che dalla consueta captatio benevolentiae (sotto forma di dedica all’Ill.mo et Rev.mo Patriarca di Aquileia, Dionisio Delfino), anche da una excusatio, rivolta “a virtuosi di musica”: qui il Nostro fa mostra di dolersi di non averli potuti servire alla bisogna, causa la “strettezza del tempo in cui si era addossato di comporre la presente opera”, e spera tuttavia di consolarli e compensarli con la “diversità degli impegni stravaganti” contenuti specialmente nella quarta messa, canonica.
L’anno successivo, dopo essere stato ordinato sacerdote a Udine – ove già ricopriva la carica di Praefectus Musicae del Collegio di S.Maria Maggiore – Bellinzani compone i Salmi a 8 voci con violini a beneplacito, e nel 1720 (ma secondo alcune fonti nel ‘28) le sonate per flauto; grazie al successo di queste prime pubblicazioni, egli si guadagna notorietà e prestigio, tanto che le sue opere figurano nel repertorio della Basilica di S.Marco a Venezia e gli viene assegnato il titolo di “Accademico Filarmonico di Bologna” ad honorem, senza il consueto noviziato.
Nell’arco della successiva carriera, che lo porta a stabilirsi, in qualità di Maestro di Cappella, a Pesaro, Urbino, Fano, Orvieto e infine Recanati, produce instancabilmente sia musica sacra (come gli Offertorii a due voci del 1726 e molti altri brani liturgici, in buona parte tuttora non pubblicati) che profana (Duetti da camera del 1726, Madrigali del 1733, Oratori “Ester” e “Abigaille”).
Le Quattro messe costituenti questa Opera Prima già presentano in nuce i marchi distintivi dello stile bellinzaniano, a partire dalla cura nel trattamento delle voci, affinché possano sempre fluire con agio, senza forzarsi in registri estremi (per queste messe in particolare è lecito supporre che le parti di soprano e contralto fossero addirittura pensate per voci bianche, visti i limiti posti all’estensione) pur senza apparire per questo banali o impacciate; Tale attenzione ben si inquadra nel desiderio dell’autore di perseguire una proporzione aurea data dall’equilibrio tra attitudini contrastanti, che identifica come “studiata semplicità” e “dissonante concordia”, in cui l’utilizzo di fioriture e dissonanze (che pure talvolta gli fu rimproverato come eccessivo dai contemporanei) non metta in ombra la limpidezza delle linee melodiche e “la maestà e il decoro delle parole che si pronunziano”: i modelli estetici di A. Corelli e B. Marcello, che sono dichiarati esplicitamente, si concretizzano in una estetica musicale in cui “oltre il senso, deve avere il suo decoroso posto la ragione”, e prendendo le distanze da ogni moda artificiosa, si possano muovere gli affetti di chi abbia l’animo disposto alle “dolci violenze” dell’armonia.
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